Lavoro, nel 2021 + 29% offerte pubblicate e oltre 3 milioni di ricerche

Sono oltre 450.000 le offerte di lavoro pubblicate dalle aziende italiane nei dodici mesi del 2021 sulla piattaforma per la ricerca di lavoro online InfoJobs, un dato che corrisponde al +29% anno su anno.
L’incremento è generalizzato in tutta Italia e nessuna regione ha registrato flessioni negative rispetto al 2020. Nonostante un panorama economico-sociale che in due anni, ha visto l’avvicendarsi di situazioni critiche come conseguenza dell’emergenza sanitaria, il 2021 sembra quindi chiudersi positivamente per il mercato del lavoro.

Un’espressione di capacità e intraprendenza da parte di aziende e candidati

L’Osservatorio sul Mercato del Lavoro 2021 di InfoJobs, analizzando le offerte di lavoro pubblicate sulla piattaforma e le ricerche attive da parte delle aziende, conferma quanto già evidenziato nel primo semestre dell’anno 2021. 
“Vogliamo interpretare questo risultato come l’espressione di capacità, caparbietà e intraprendenza sia da parte delle aziende che da parte dei candidati, che mai hanno smesso di credere nella ripresa del mercato del lavoro – commenta Filippo Saini, Head of Job di InfoJobs -. Pur entrando in un 2022 che si preannuncia ancora difficile e soprattutto incerto, permane il nostro compito di facilitare l’incontro tra aziende e candidati, che sono oltre 6,5 milioni, mettendo la nostra expertise digitale al servizio dei bisogni del Paese reale”.

La top 5 delle regioni più attive per numero di offerte

In cima alla classifica delle regioni che spiccano per offerte di lavoro si conferma per il quinto anno consecutivo la Lombardia, con il 31,5% del totale nazionale delle offerte pubblicate dalle aziende su InfoJobs. Al secondo posto si posiziona l’Emilia-Romagna (17,2%), al terzo posto il Veneto (14,2%), seguito dal Piemonte al quarto posto (9%), e al quinto la Toscana (6%). Quanto alle province, le evidenze di InfoJobs riconfermano al primo posto della classifica Milano come provincia più attiva, nella quale si concentra il 12,2% delle offerte.

A Reggio Emilia +55% rispetto al 2020

Nelle posizioni a seguire, la classifica presenta un leggero dinamismo rispetto al 2020, con province a pari merito. Roma e Torino sono entrambe al secondo posto con il 4,6% delle offerte, Bergamo e Bologna, che sale di una posizione rispetto al 2020, insieme al terzo posto con il 4,2%, mentre al quarto posto Brescia (4,1%), e ancora un pari merito in chiusura della top 5 con l’ingresso di Verona e Modena (3,2%). Il rinnovamento del mercato del lavoro impatta anche altre province. Nella top 10 spiccano per un ingente incremento in termini di offerte rispetto all’anno precedente Firenze, al nono posto, con il +27%, e Reggio Emilia, al decimo posto, che nel 2021 registra un +55%.

Covid e mobilità, l’impatto sul mercato italiano 

Il 2021 mostra segnali di leggera ripresa per alcuni comparti della Mobility in Italia, ma con la crisi sanitaria il settore è drasticamente cambiato. A soffrire di più è il comparto della mobilità a medio-lungo raggio, strettamente legata ai viaggi di piacere e di lavoro. A trainare la crescita i canali online, che fanno spazio all’utilizzo di strumenti di pagamento digitali e innovativi.

La volontà di ridurre al minimo i contatti ha infatti anche cambiato le abitudini di acquisto, facendo spazio all’adozione di strumenti di pagamento digitali anche in comparti tradizionalmente legati all’uso del contante. Tra tutti quello dei taxi, che nel 2021 vede una crescita dell’uso di carte per i pagamenti del 10% rispetto al 2019.
Queste alcune delle evidenze emerse dagli Osservatori Innovative Payments e Innovazione Digitale nel Turismo della School of Management del Politecnico di Milano. 

Il comparto più colpito è il trasporto aereo 

Il comparto del trasporto aereo è quello maggiormente colpito dalla pandemia. I 14,5 miliardi di euro del 2019 sono calati a 4,5 nel 2020, per tornare a salire a circa 6 miliardi nel 2021. Il valore del mercato degli autobus a medio-lungo raggio invece è calato del 61% nel 2020, e se nel 2021 la situazione ha visto una timida crescita (2%), è dovuta soprattutto all’aumento dei prezzi.

Anche il mercato del trasporto ferroviario ha subito quasi un dimezzamento nel 2020. Nel 2021 ha registrato una ripresa (+26%) trainata in particolare dal canale online, che ha quasi raggiunto quello offline (49% contro 51%). Quanto al mercato dei traghetti, ha subito in maniera più leggera lo scotto della pandemia, recuperando nei mesi estivi del 2021 quanto aveva perso nel 2020.

Rallenta la mobilità urbana

La mobilità urbana, che rappresenta la quota più piccola della Mobility in Italia, nel 2020 ha subito un rallentamento. In particolare, il trasporto su taxi (-60%), che però nel 2021 ha recuperato portandosi a circa due terzi del 2019. Quanto al Trasporto Pubblico Locale, che partiva da un valore di 3,9 miliardi, nel 2021 si ferma poco sotto i due terzi dei valori pre-pandemia.
Al contrario, la pandemia ha favorito anche nel 2021 l’utilizzo del mezzo privato, con risultati meno negativi per l’intero comparto, dai pedaggi autostradali (-22%), alla sosta su strisce blu (-35%), o in struttura e ZTL.

Il canale online cresce per l’autobus a medio-lungo raggio

Il contante si conferma anche nella Mobility lo strumento preferito dai consumatori, soprattutto per il pagamento dei servizi di breve percorrenza e per il pagamento della sosta, caratterizzati da scontrini medi ridotti e da un’esperienza di acquisto che avviene tipicamente nel canale offline, ossia in prossimità della cassa. Un esempio è il mercato della sosta su strada negli stalli strisce blu, dove la quasi totalità dei pagamenti avviene in contanti (91% del transato nel 2020). Fanno eccezione i trasporti a lunga percorrenza, caratterizzati da scontrini medi più elevati e da un canale online più sviluppato. Un esempio è il mercato dell’autobus a medio-lungo raggio, dove le carte e i wallet valgono il 71% del transato nel 2021, e il 56% dei pagamenti viene effettuato online.

Mercato immobiliare, nel 2021 si conferma la ripresa

Il mercato immobiliare italiano è in buona salute, e nel 2021 conferma la ripresa cominciata da più un anno restituendo segnali di ottimismo. A quanto emerge dal 3° Rapporto sul Mercato Immobiliare 2021 di Nomisma, la spinta all’acquisto immobiliare da parte degli italiani è legata soprattutto all’intenzione di migliorare la propria condizione abitativa, ed è determinata soprattutto dalla capacità di rilancio dell’economia italiana, a sua volta favorita anche dalle risorse del PNRR. Tuttavia, secondo l’analisi di Nomisma, per valutare correttamente la capacità di resistenza e ripresa dimostrate dal mercato sarà necessario aspettare che lo scenario si normalizzi. Solo con il tempo, infatti, sarà possibile capire se questa crescita è destinata a proseguire oppure a ridimensionarsi.

I mercati di provincia contribuiscono in maniera significativa alla crescita

Di fatto, sono oltre 3,3 milioni i nuclei familiari che hanno deciso di intraprendere la ricerca di una nuova abitazione, e l’intento è principalmente la sostituzione della prima casa.  In particolare, confrontando il primo semestre 2021 con il primo semestre 2019 il mercato delle compravendite è cresciuto del 23,6%, e i mercati di provincia hanno contribuito in maniera significativa a questo incremento. Una tendenza nata soprattutto nel periodo di lockdown, durante il quale molti italiani hanno maturato e rafforzato alcune esigenze, come una maggiore segmentazione degli spazi e l’implementazione di soluzioni tecnologiche all’interno dell’ambiente domestico. Inoltre, la pandemia ha rimesso al centro il tema della qualità dell’abitare (più spazio, salubrità, connettività e minori costi energetici), tendenza che in parte si è riflessa nello spostamento della domanda verso localizzazioni suburbane.

L’andamento positivo si deve al credito degli istituti bancari

L’andamento positivo del mercato, tuttavia, non è dovuto a un aumento del potere d’acquisto degli italiani, come si evince dalla dipendenza da mutuo di molti nuclei familiari, ma dal credito degli istituti bancari, senza il qual una parte significativa della domanda non potrebbe essere soddisfatta.
È infatti proprio nell’atteggiamento accomodante delle istituzioni finanziarie che secondo Nomisma vanno ricercate le ragioni di un rimbalzo tanto repentino quanto consistente del settore. Inoltre, i temi della riqualificazione energetica degli immobili, come il Superbonus, e il supporto agli under 35 per i mutui prima casa rappresentano due aspetti fondamentali per la ripresa del mercato immobiliare.

Domanda di locazione e prezzi degli immobili

Quanto alla domanda di locazione nel 2021 non ha recuperato i livelli pre-pandemia, ma rispetto al primo semestre dell’anno è aumentata mediamente del 3,5%.  In ogni caso, l’evoluzione dei prezzi degli immobili in ambito residenziale ha beneficiato dell’intensificarsi della domanda abitativa. In questo settore, su base annua, la variazione media dei prezzi è pari a +1,6%, con differenze, anche notevoli, sui vari mercati. Si va infatti dal +4,1% registrato da Milano al -1,2% di Palermo. I tempi medi di assorbimento degli immobili in vendita cambiano però in base alla tipologia: in media sono necessari 5,5 mesi per le abitazioni e 9 mesi per uffici e negozi. 

Investimenti welfare in forte crescita, nonostante la pandemia

Sebbene la pandemia da Covid-19 abbia innescato una crisi globale, il patrimonio complessivo degli investitori istituzionali italiani si consolida. Il totale ammonta infatti a 953,8 miliardi di euro (di cui 198 solo di previdenza complementare): si tratta di una quota paragonabile a quasi il 58% del PIL nazionale. Il dato è contenuto nell’ottavo rapporto “Investitori istituzionali italiani: iscritti risorse e gestori per l’anno 2020” del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali. Rispetto al forte calo registrato nel mercato finanziario (soprattutto azionario) nella prima metà del 2020 resta in terreno positivo anche il tasso di rendimento: tra i migliori, +3,6% per le Fondazioni di origine Bancaria e +3,1% per i fondi pensione negoziali. Per gli investitori istituzionali, soprattutto per i fondi pensione, restano ampi i margini di incremento per gli investimenti in economia reale. Rilevata in particolare la necessità di favorire il reinvestimento di una maggiore quota del TFR confluito ai fondi pensione nel sistema produttivo.

Più forte delle crisi finanziarie

Nonostante le ricorrenti crisi finanziarie degli ultimi anni e la crisi mondiale innescata dalla pandemia da Covid-19, il patrimonio degli investitori istituzionali che operano nel welfare contrattuale (fondi pensione negoziali, preesistenti e forme di assistenza sanitaria integrativa), delle Casse Privatizzate e delle Fondazioni di origine Bancaria è aumentato dai 142,85 miliardi di euro del 2007 ai 269,84 miliardi di euro del 2020, con un incremento dell’88,9%. In percentuale del PIL, il patrimonio di questi soggetti è quindi pari al 16,3% e, includendo anche il welfare privato (Compagnie di Assicurazione del settore vita, rami I, IV e VI, fondi aperti e PIP), tale rapporto aumenta al 57,8%. Quello che emerge dal Report è quindi il ritratto di un Paese che negli anni è riuscito a consolidare il proprio mercato istituzionale, raggiungendo ormai una dimensione rilevante.

Buone performance per tutti gli investitori istituzionali

Nel 2020 tutti gli investitori istituzionali hanno realizzato buone performance, anche se inferiori a quelle del 2019. In particolare, le Fondazioni di origine Bancaria segnano un +3,6% (6,5% nello scorso anno), seguite dai fondi pensione negoziali con un +3,1% (7,2% nel 2019), dai fondi aperti con +2,9%, dai fondi preesistenti con il 2,6% e dalle gestioni separate con +1,4%; in negativo di 0,2% solo le unit linked. Risultati ancora più apprezzabili se confrontati con i “rendimenti obiettivo” TFR, inflazione e media quinquennale del PIL, che si sono attestati rispettivamente all’1,2%, -0,2% e 2%, conclude il rapporto.

Ad agosto 2021 l’indice Pmi Terziario è stabile a 78 punti

In Italia il settore terziario è in continua e forte espansione, con un’attività nuovamente aumentata e il tasso più alto in 14 anni. L’indice Pmi servizi (Purchasing Managers Index), elaborato da Ihs Markit, il fornitore di informazioni globale, nel mese di agosto 2021 si è infatti posizionato su 78 punti, un valore invariato rispetto a luglio, e che inoltre indica per il quarto mese consecutivo un incremento della produzione terziaria italiana. L’indice Pmi è il principale indicatore economico mondiale, e si basa su indagini condotte mensilmente su un gruppo di aziende selezionate che rappresentano le economie mondiali principali e quelle in via di sviluppo. L’indice fornisce in anticipo indicazioni di ciò che sta realmente accadendo nei settori economici, monitorando i cambiamenti di variabili come produzione, nuovi ordini, livelli occupazionali e prezzi.

Per la quarta volta in quattro mesi i nuovi ordini sono aumentati

Ancora una volta, i nuovi ordini sono aumentati rapidamente, con le aziende che hanno citato come cause principali le forti condizioni della domanda e la ripartenza dei viaggi internazionali, mentre le pressioni inflazionistiche sono rallentate nel corso del mese, restando tuttavia elevate. Cardine della crescita di agosto è stato il forte aumento del flusso di ordini ricevuti dalle aziende italiane di servizi.
Per la quarta volta in altrettanti mesi, anche se in rallentamento rispetto a luglio, i nuovi ordini sono infatti aumentati, indicando un rapido tasso di crescita.

Da maggio 2021 le aziende continuano ad assumere personale

La leggera riduzione del tasso di espansione dei nuovi ordini totali di agosto riflette però principalmente la generale stagnazione del livello delle commesse estere. Allo stesso tempo, le aziende di servizi hanno continuato ad assumere personale, estendendo l’attuale sequenza di creazione occupazionale iniziata nel mese di maggio. Dai commenti raccolti, le nuove assunzioni sono state necessarie per far fronte alle maggiori necessità aziendali, ma anche in previsione di un forte incremento della domanda futura. Come conseguenza, dopo quattro mesi consecutivi di accumulo degli ordini in giacenza, il livello delle commesse inevase di agosto presso le aziende di servizi in Italia si è stabilizzato.

Un rallentamento delle pressioni inflazionistiche nel settore italiano dei servizi

Gli ultimi dati raccolti, riporta una notizia di Askanews, hanno anche indicato un rallentamento delle pressioni inflazionistiche del settore italiano dei servizi. Il carico dei costi è continuato ad aumentare, seguendo una tendenza mensile iniziata già a giugno 2020. E il tasso di inflazione, anche se continua a essere rapido, ha indicato il valore più lento degli ultimi tre mesi.

Condominio poco social, un italiano su quattro non conosce i vicini

Il 56% delle persone che vivono in condominio ha un rapporto scarso o inesistente con i vicini, e una persona su quattro addirittura non conosce chi vive sullo stesso piano. Lo ha scoperto la survey dal titolo E tu che condomino sei? realizzata dall’app Domi Social, il social network di condominio. Il quadro che ne emerge non è molto confortante per la socialità di prossimità, con il 46% degli intervistati che rivela di non utilizzare alcun mezzo di comunicazione con i propri vicini di casa, e il 39% che ammette di non comunicare mai con loro. Insomma, nell’era dei social network abbiamo centinaia di “amici” che vivono dall’altra parte del mondo, ma non conosciamo i nostri dirimpettai. 

Il lockdown non ha aumentato le interazioni né la solidarietà

Una panoramica che inoltre non sembra essere cambiata molto negli ultimi mesi di pandemia. Il 68% delle persone intervistate afferma che il lockdown non ha influito sulle interazioni con i vicini, e che è cambiato poco o nulla rispetto a prima. Se i rapporti ci sono, poi, sono freddi, e il 20% sostiene che in caso di bisogno urgente non potrebbe contare su vicini. Un dato che peggiora nel caso in cui nel condominio sia presente la figura del portinaio. Questa situazione però sembra non soddisfare la maggior parte dei condomini. Il 69% di loro, infatti, vorrebbe essere più coinvolto nella vita del condominio, il 51% dei condomini dichiara importante la solidarietà tra vicini, e per il 24% è addirittura importantissima.

Il 35% dei condomini è insoddisfatto dell’amministratore

Altra nota dolente che emerge dal sondaggio è rappresentata dal rapporto con l’amministratore. Se il 35% dei condomini intervistati è insoddisfatto del professionista, contro un 22% di soddisfatti e un 43% di indifferenti, è la comunicazione a pesare di più, ma negativamente, sul piatto della bilancia. Il 61% delle persone dichiara infatti, riporta Adnkronos, che non sia per niente o poco facile interfacciarsi con l’amministratore in caso di problemi, e il 58% lamenta aggiornamenti sporadici e latenti da parte del professionista.

Amici su Facebook, sconosciuti sul pianerottolo

“Questo sondaggio certifica una sensazione che avevamo da tempo e che ci ha spinto nei mesi scorsi a creare la nostra soluzione tecnologica – commenta Alberto Lamberti, founder di Domi -. Cioè che siamo bravissimi a tenere i contatti con persone dall’altra parte del pianeta attraverso Facebook e Instagram, ma non siamo in grado di coltivare i rapporti con i nostri vicini di casa. Che molte volte non conosciamo nemmeno. Ecco perché – prosegue Lamberti – abbiamo ideato il primo social network di condominio. Per stimolare e migliorare la comunicazione di prossimità e per vivere il palazzo con serenità attraverso il contributo di tutti gli attori che lo animano, dai condomini a tutti gli altri che ne sono protagonisti diretti e indiretti”.

Quali saranno le superpotenze del 2030?

Usa e Cina oggi sono le due superpotenze più grandi, e sono viste come un importante fattore destabilizzante in tutto il mondo. La Russia non fa eccezione, ma rispetto a due anni fa, genera meno paure della Cina.  D’altra parte, l’UE è percepita come il fattore più stabilizzante, ma ci si aspetta che non sieda più al tavolo delle superpotenze. Si tratta di alcune evidenze del sondaggio mondiale sulla percezione delle superpotenze internazionali e delle loro politiche condotto da Gallup International Association, di cui BVA Doxa è membro finanziatore, su oltre 42.000 cittadini di 45 paesi in tutto il mondo.

Usa, Cina, Russia, Giappone e India

Il 56% delle persone in tutto il mondo concorda sul fatto che nel 2030 gli Stati Uniti saranno ancora una superpotenza, anche se negli ultimi anni l’influenza politica della Cina ha guadagnato sempre più attenzione. Questo è forse il motivo per cui le persone in tutto il mondo sono più certe che la Cina nel 2030 sarà una superpotenza. Tranne in India, dove sembrano rifiutare questa possibilità. Anche la Russia è percepita come una superpotenza, ma più di un terzo degli intervistati è in disaccordo, soprattutto gli stessi russi (41%). Quasi la metà della popolazione poi non è d’accordo sul Giappone come una superpotenza nel 2030, e la meno attesa come superpotenza di domani è l’India: solo il 16% degli intervistati afferma infatti che tra 10 anni il Paese rappresenterà un importante fattore internazionale.

Le superpotenze percepite come fattori destabilizzanti

Sono gli Stati Uniti a essere percepiti come la forza più destabilizzante, e gli atteggiamenti verso le politiche USA negli ultimi anni sono rimasti invariati. Anche la Russia è considerata come una potenza destabilizzante, così come la Cina. Le percezioni sulla Cina nel mondo sono identiche a quelle sugli Stati Uniti e sulla Russia, con circa la metà degli intervistati che considera il paese un fattore internazionale destabilizzante. Sebbene non si preveda che rimanga una superpotenza tra 10 anni, l’UE è invece l’unica superpotenza attuale valutata a livello mondiale come un fattore piuttosto stabilizzante sulla mappa politica.

Cosa ne pensano gli italiani

Secondo gli intervistati italiani il Paese con più probabilità di essere una superpotenza nel 2030 è la Cina, con il 75% degli italiani che lo dichiara. Subito dopo, gli italiani indicano come superpotenze USA (63%), Russia (58%), Giappone (51%), e India (23%). Proprio come i cittadini dell’Unione Europea, solo il 18% degli italiani crede che l’UE stessa sarà una superpotenza, ma il lato positivo è che il 33% di loro pensa all’UE come a un fattore stabilizzante sulla mappa politica globale. L’Unione Europea è infatti considerata dagli italiani il fattore più stabilizzante nello scenario internazionale, seguita da Russia (28%), USA e Cina (entrambi 26%).

I trend sulla privacy: analisi comportamentale, raccolta dati e regolamentazioni più severe

Il 2020 ha dimostrato quanto i servizi digitali e un’infrastruttura connessa siano diventati importanti. Una consapevolezza che ha portato cittadini, organizzazioni e governi ad avere una percezione e un atteggiamento diverso nei confronti della privacy. Sulla base delle tendenze osservate nel 2020 gli esperti di Kaspersky hanno condiviso la loro visione sulla privacy rispetto ai cambiamenti previsti per il 2021. Tra le sfide più evidenti gli esperti hanno individuato quella che vede gli stakeholders di diversi settori in contrapposizione, mentre i vendor di tutte le dimensioni inizieranno a raccogliere grandi quantità di dati diversi tra loro, portando i governi a varare nuove normative. Da parte loro, invece, gli utenti inizieranno a percepire la privacy come un elemento di valore per il quale sono disposti a pagare.

La privacy comporterà un costo, e crescerà la domanda di dati sulla salute

La privacy dei consumatori diventerà quindi una proposta di valore, e nella maggior parte dei casi, comporterà un costo. L’incremento della raccolta di dati durante la pandemia e il fermento politico che ha coinvolto le piattaforme digitali hanno favorito la consapevolezza rispetto alla raccolta incontrollata di dati. Il numero di utenti che desidera preservare la propria privacy è sempre più alto, e le organizzazioni stanno rispondendo con prodotti dedicati sempre più specifici. I vendor di dispositivi smart per il settore healthcare raccoglieranno poi dati sempre più eterogenei per usarli nei modi più disparati. I dati raccolti da fitness tracker, misuratori della pressione sanguigna e da altri dispositivi vengono già utilizzati in alcuni casi giudiziari o da responsabili marketing e assicuratori. Poiché la salute è un tema che riguarda l’intera opinione pubblica, la domanda di questi dati non potrà che crescere.

Nuovi regolamenti per ostacolare la privacy online

Quanto ai governi, punteranno ai dati a disposizione delle big-tech e saranno sempre più attivi da un punto di vista normativo, introducendo regolamenti al fine di ostacolare la privacy online. Le aziende di dati invece cercheranno informazioni da fonti sempre più originali, talvolta intrusive, per alimentare i sistemi di behavioral analytics, e le organizzazioni che lavorano in questo settore troveranno modi sempre più creativi per profilare gli utenti. Man mano che le aziende diventeranno più consapevoli dei dati di cui hanno effettivamente bisogno e i consumatori si opporranno alla raccolta incontrollata di informazioni, emergeranno strumenti di privacy più avanzati, mentre le big-tech garantiranno nuovi e rigidi standard per gli utenti. Emergeranno hardware più evoluti che permetteranno agli sviluppatori di creare strumenti in grado di elaborare i dati in maniera avanzata, diminuendo così la quantità di quelli condivisi dagli utenti con le organizzazioni.

Pmi e sostenibilità, una sfida per uscire dalla crisi

La sostenibilità può aiutare a uscire più rapidamente dalla crisi economica innescata dalla pandemia. Ne è convinto il 30% delle Pmi italiane, una percentuale che sale al 39% tra le aziende con almeno 50 dipendenti. Oltre l’80%, poi, considera la sostenibilità un elemento importante nelle scelte strategiche e di investimento. E un ulteriore 80% ritiene di dover valutare gli aspetti ambientali, sociali e di governance nella concessione del credito. Più in generale, le aziende italiane ritengono anche indispensabile incrementare informazione e promozione sugli strumenti di finanza sostenibile. Lo affermano i risultati dell’ultima indagine di BVA Doxa per il Forum della Finanza Sostenibile, condotta su un campione rappresentativo di 477 Pmi italiane.

Opportunità e sfide

Nel nuovo contesto socio economico condizionato dalla pandemia il 37% delle Pmi prevede quindi un aumento dell’attenzione sui temi ambientali, sociali e di governance (ESG). La dimensione ambientale è quella più conosciuta, apprezzata e codificata dalle Pmi, ma i maggiori benefici che derivano dal perseguire iniziative di sostenibilità sono legati a strategie di marketing e di prodotto per il 73% del campione, e per il 52% al miglioramento della reputazione e dell’attrattività dell’azienda. I freni per lavorare in chiave sostenibile sono rappresentati principalmente da costi più elevati (52%), e da difficoltà burocratiche, come ad esempio, ottenere e mantenere le certificazioni (50%).

Il ricorso all’Investimento Sociale e Responsabile

La maggior parte delle Pmi considera la sostenibilità un elemento importante nelle attività finanziarie e creditizie. Infatti, l’80% ritiene che gli operatori finanziari dovrebbero affiancare gli indicatori ESG a quelli tradizionali per valutare adeguatamente il merito creditizio. Per il 33%, poi, i progetti sostenibili dovrebbero beneficiare di condizioni di finanziamento migliori, mentre il 70% dichiara di raccogliere dati ESG a uso interno, per gli stakeholder oppure da rendere disponibili al pubblico. Il ricorso all’Investimento Sociale e Responsabile (SRI) presenta ancora ampi margini di progressione. Infatti, solo un’azienda su tre ha preso in considerazione i prodotti di finanza sostenibile, e meno del 30% ha adottato strumenti come i rating di sostenibilità o ha redatto una Dichiarazione Non Finanziaria.

Le banche sono il punto di riferimento principale

La ragione principale consiste nel fatto che promozione e comunicazione sono ancora limitate, tanto che al 70% delle aziende intervistate non è mai stato proposto di valutare forme di finanziamento per progetti sostenibili. Gran parte delle Pmi, infatti, chiede agli operatori finanziari di incrementare termini economico-finanziari, reputazionali e di marketing/posizionamento. In ogni caso, le banche emergono ancora come il principale punto di riferimento. La maggior parte delle Pmi attribuisce loro una funzione importante sia nella scelta degli strumenti finanziari (41%) sia nella promozione dei prodotti SRI (35%).

Cresce il mercato dell’usato, anche per gli smartphone

Così come quello delle auto di seconda mano cresce anche il mercato degli smartphone usati. A differenza di quello dei telefonini nuovi, che fa fatica in attesa di grandi novità, secondo un report della società di analisi Idc nel 2019 le consegne di smartphone usati sono aumentate del 17,6% rispetto al 2018, per un totale di 206,7 milioni di pezzi venduti. Che nel 2018 erano 175,8 milioni.

La scelta di acquistare uno smartphone usato o rigenerato, nasce dal desiderio di dotarsi di un modello che implementa caratteristiche complete senza dover sostenere un esborso economico troppo impegnativo. Il mercato dell’usato, soprattutto per modelli inizialmente acquistati non molto tempo prima, si rivela quindi essere particolarmente interessante. E per i prossimi anni secondo Idc le previsioni sono rosee, nel 2023 il numero potrebbe essere pari a 332,9 milioni di unità, con un tasso annuo medio di crescita pari al 13,6% dal 2018 al 2023, per un giro d’affari dell’ordine dei 67 miliardi di dollari.

Device già utilizzati oppure ricondizionati

L’andamento in crescita del mercato degli smartphone usati coinvolgerà tutti i Paesi, ma secondo Idc, in Nord America nel 2023, saranno riconducibili oltre un quarto delle consegne a livello mondiale di smartphone usati, riporta Ansa.

Idc fa confluire nel concetto di smartphone usati sia quelli già utilizzati e successivamente rivenduti, sia quelli ricondizionati, ovvero i dispositivi utilizzati e sottoposti a un processo che li rende nuovamente idonei all’utilizzo, e rivenduti tramite canali di vendita secondari che non comprendono la vendita tra privati.

Il 5G porterà un incremento di dispositivi vecchi non compatibili

La crescita delle vendite degli smartphone di seconda mano non sarà incentivata solo dal desiderio degli utenti di risparmiare, ma anche dalla transizione dalle reti 4G a quelle 5G, che determinerà l’arrivo sul mercato dell’usato di numerosi dispositivi di fascia medio alta non compatibili con la connettività di nuova generazione, riporta Skytg24. Modelli però ancora molto appetibili per i consumatori, nonostante manchino proprio del supporto alla nuova tecnologia di connettività.

Nel 2020 dovrebbero tornare a crescere anche le vendite dei modelli nuovi

Oltre alle vendite degli smartphone usati nel corso del 2020 dovrebbero tornare a crescere anche quelle dei modelli nuovi. Dopo il lieve calo registrato nel 2019 le consegne di nuovi device dovrebbero essere trainate dall’arrivo di nuovi iPhone economici, da una maggiore diffusione delle reti 5G, soprattutto in Cina, e dal debutto sul mercato di un numero sempre maggiore di dispositivi pieghevoli. Gli analisti prevedono che saranno consegnate più di 1,4 miliardi di unità (+1,5% a livello globale).