Carne coltivata: italiani interessati e curiosi

Uno scenario potenzialmente rivoluzionario per i suoi benefici, a livello collettivo e individuale, principalmente in termini di copertura della crescente domanda mondiale di carne, riduzione della pressione ambientale generata dagli allevamenti intensivi, riduzione dei rischi per la salute.
La carne coltivata, o “artificiale”, “pulita”, “cruelty-free”, è un tema ancora in profondo divenire, sia per i perfezionamenti tecnologici e di processo necessari per ottimizzarne efficienza ed efficacia sia per i test richiesti per verificarne la sicurezza e la portata dei vantaggi.

Per comprendere il sentiment degli italiani nei confronti di un tema così controverso un gruppo di ricerca dell’Università di Ferrara ha condotto uno studio, insieme a SWG. intervistando 5 chef affermati, 741 studenti/studentesse all’ultimo anno dell’istituto alberghiero, 1000 consumatori e 1000 possessori di animali domestici.

Sotto accusa gli allevamenti intesivi, non la carne di qualità

“Dagli studi condotti emergono interesse e curiosità da parte degli intervistati nei confronti della carne coltivata, che non va vista in contrasto o contrapposizione con la carne tradizionale, soprattutto quella di qualità, bensì con quella da allevamenti intensivi – dichiara il professore Fulvio Fortezza, Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Ferrara -. Non si tratta di un dettaglio, perché questa visione delle cose, ferme restando le verifiche sul campo che ancora aspettano la ‘carne di nuova generazione’, potrebbe cambiare completamente i termini della questione”.

Promossa dagli chef e dai consumatori

Tutti e 5 gli chef sono favorevoli a introdurre la carne coltivata nei loro menu, mentre il 71% circa dei futuri chef è tendenzialmente favorevole e il 69% circa tenderebbe ad assaggiarla, così come il 70% circa dei consumatori. Tra loro sembrano essere soprattutto i mangiatori di carne “con rimorsi” (uomini) a manifestare interesse per la carne coltivata e per i suoi possibili benefici sulla salute e l’ambiente.

L’idea che la carne coltivata sia promossa da chef riconosciuti tende ad aumentare la disponibilità a pagare per questa tipologia di carne.

Anche il pet potrebbe mangiarla

Quanto ai possessori di cani, sempre più attenti alle diete dei loro amici a quattro zampe, concepiti sempre più come veri e propri membri della famiglia, la maggioranza degli intervistati (53%) farebbe assaggiare la carne coltivata al proprio pet, mentre solo il 22% dichiara una totale chiusura in tal senso.

La percentuale di accettazione potenziale aumenta al 58% se posta in termini di disponibilità a comprarla in modo più o meno regolare, riferisce Italpress. Il 43% degli intervistati sarebbe disposto a pagarla almeno quanto, o addirittura di più, dei prodotti a base di carne tradizionale, in particolare per i possibili benefici di questa scelta sull’ambiente.

Cibo e alimentazione sostenibile: cosa mangeremo nel futuro?

Cosa mangeremo domani? Qualunque alimento purché a basso impatto ambientale e sociale. La questione del cibo sostenibile non riguarda soltanto le scelte di gusto personale o capacità nutritive degli alimenti, ma anche le conseguenze della produzione degli alimenti sull’equilibrio del Pianeta. Secondo la FAO il 31% delle emissioni di gas serra generate da attività umane è riconducibile ai sistemi agroalimentari.

In fatto di cibo sostenibile oggi sembrano prevalere due correnti principali. Da una parte quella guidata dall’innovazione, che sta portando alla graduale introduzione di alimenti del tutto inediti rispetto a quelli tradizionali. Dall’altra, una sorta di ritorno alle origini, ovvero, alla reintroduzione o salvaguardia di tecniche agricole e di produzione più tradizionali, e meno impattanti sull’ambiente.

Alghe e carne coltivata

Le alghe sono sicuramente tra gli alimenti a minor impatto ambientale potendo essere coltivate praticamente ovunque, con un ridottissimo dispendio energetico ed emissioni molto contenute. A livello nutritivo, è un alimento ricco di sali minerali e vitamine che può essere aggiunto a molti altri alimenti. La coltivazione di alghe inoltre potrebbe ridurre le colture terrestri e quindi limitare le emissioni complessive di gas serra dovute all’agricoltura.

Uno dei super alimenti prodotti grazie all’innovazione tecnologica è la carne coltivata, prodotta in laboratorio grazie all’innesto di cellule staminali di animali vivi e sani che vengono fatte proliferare in appositi bioreattori.
Una produzione, che se applicata su larga scala, porterebbe alla drastica riduzione dei gas serra e del consumo di acqua degli allevamenti intensivi, pur comportando consumi energetici non indifferenti.

Insetti, alimento di domani

Oltre alla carne allevata, sono gli insetti uno dei potenziali alimenti del futuro di cui si parla di più.
In diverse aree del mondo sono già consumate diverse specie di insetti in quanto fonte di proteine ad alta qualità, paragonabili a quelle di carne o pesce.

Le criticità con riferimento agli insetti, oltre alle questioni etiche e di gusto, soprattutto per popolazioni non abituate al consumo di questo genere di alimento, riguardano l’ambito igienico-sanitario legato a grandi quantità di insetti allevate in modo intensivo per la successiva trasformazione alimentare.

Il riso ibrido con la carne (dentro)

Un altro degli alimenti più consumati a livello globale, il riso, è stato recentemente rivisitato per dare vita a una sorta di alimento ibrido tra cereale e carne, ovvero un riso proteico che al suo interno contiene una percentuale di cellule di manzo (circa l’8% del totale).
Insomma, una sorta di super alimento che non solo ha un livello nutrizionale più completo rispetto al riso tradizionale, ma che contribuisce a ridurre drasticamente l’impatto ambientale.

Se infatti per 100g di proteine prodotte con il riso proteico vengono emessi poco più di 6 kg di CO2, per produrre la stessa quantità di proteine da carne bovina le emissioni di CO2 salgono a quasi 50 kg.
A oggi, riporta Adnkronos, il riso ibrido è solo in fase di sperimentazione, ma le sue potenzialità possono essere importanti anche in ottica di contrasto alla fame nel mondo.

ICT, advertising e software guidano l’exploit del digitale italiano

Il mercato digitale italiano cresce senza segnare battute d’arresto. Un vero e proprio export che, nel 2023, ha superato per portata anche gli indicatori economici generali. La corsa, inoltre, non si ferma, tanto che si prevede un superamento dei 90 miliardi di euro entro il 2026.

Nel 2023, nonostante le incertezze economiche e geopolitiche, il mercato digitale si è rivelato in ottima salute,  con una crescita del 2,8%. I settori trainanti sono stati i Servizi ICT (+9%), Contenuti e pubblicità digitale (+5,9%) e Software e soluzioni ICT (+5,8%).

Un ruolo fondamentale nell’economia italiana

Il presidente di Anitec-Assinform, Marco Gay, sottolinea che, nonostante le sfide globali, il mercato digitale mantiene un ruolo fondamentale nello sviluppo dell’economia italiana, guidando l’innovazione. Nel corso del 2023, tecnologie come l’intelligenza artificiale generativa e ChatGPT hanno catturato l’attenzione, trasformando settori come il Made in Italy, la sanità e la pubblica amministrazione.

Nei primi sei mesi del 2023, il mercato digitale ha raggiunto i 38.106 milioni di euro, con una crescita del 2,5% rispetto al periodo corrispondente del 2022. I settori con la crescita più elevata sono stati i Servizi ICT (+8,8%), il mercato Cloud (+19,8%), Contenuti e pubblicità digitale (+6%) e Software e soluzioni ICT (+5,7%). Le previsioni indicano una chiusura del 2023 con un valore di 79.209 milioni di euro e una crescita complessiva del 2,8%, con previsioni ancora più ottimistiche per gli anni successivi, raggiungendo un valore di oltre 90 miliardi di euro nel 2026.

Il boom dell’intelligenza artificiale

I Digital Enabler, in particolare l’intelligenza artificiale, continuano a essere un traino significativo per lo sviluppo del mercato digitale italiano, con una prevista crescita media annua del 28,2% tra il 2023 e il 2026.
Marco Gay evidenzia che le dinamiche del mercato digitale sono strettamente legate alla trasformazione digitale, all’economia, alla sostenibilità e ai rischi cibernetici globali. La crescente domanda di competenze digitali specializzate è evidente, spaziando dai developer agli architetti cloud.

Cresce la spesa per la cybersecurity

La seconda parte del rapporto si focalizza sulla cybersicurezza, rilevando un aumento degli attacchi informatici nel 2023, con una crescita del 13% nella spesa per la cybersecurity. Settori come la sanità e la pubblica amministrazione, a livello centrale e locale, mostrano un crescente interesse per soluzioni di sicurezza informatica.

La Pubblica Amministrazione rappresenta un attore chiave nel mercato digitale, con una prevista crescita del 9,1% nel 2023, portando il valore del mercato digitale nella PA a quasi 8 miliardi di euro.

PA e rivoluzione digitale: Italia al bivio tra ritardo tecnologico e innovazione AI

La trasformazione digitale sta investendo la Pubblica amministrazione italiana, e l’Intelligenza Artificiale è il motore di questo cambiamento.
Nonostante alcuni ritardi nella digitalizzazione rispetto ad altre nazioni, l’Italia mostra segnali promettenti, specialmente nelle sperimentazioni AI nel settore pubblico, dove si discute l’essenzialità degli investimenti in tecnologie avanzate come Cloud Computing e Blockchain, unite alla necessità di un significativo sviluppo delle competenze digitali.

È inoltre cruciale considerare il ruolo della normativa, in particolare, l’introduzione dell’AI Act, nel guidare e rendere sicuro il percorso dell’innovazione.
Con una visione chiara e investimenti mirati, l’Italia può trasformare le sfide in opportunità, diventando un modello di innovazione nella PA.

“È fondamentale adottare un approccio strategico e condiviso”

La rivoluzione digitale della PA promette di trasformare il modo in cui vengono erogati servizi e processi ai cittadini, e l’AI emerge come chiave per un futuro più efficiente e dinamico.
“Stiamo assistendo a un cambiamento radicale, dove l’AI può svolgere un ruolo decisivo nell’ammodernare i servizi pubblici – commenta Federico Aiosa, Head Of Sales del Central Public Sector Welfare Area -. Ma è fondamentale adottare un approccio strategico e condiviso. La posizione dell’Italia nelle classifiche internazionali di digitalizzazione non soddisfa ancora le nostre aspettative a causa di vari fattori, come la limitata spesa nelle soluzioni ICT e la mancanza di competenze digitali avanzate tra i lavoratori pubblici”.

Investimenti e tecnologie abilitanti

Fortunatamente, l’Italia si distingue per il numero di sperimentazioni nel campo dell’AI nel settore pubblico. “Ciò evidenzia un crescente interesse verso l’innovazione – aggiunge Aiosa -. Ora è essenziale convertire queste sperimentazioni in azioni concrete”.
Per una trasformazione digitale efficace, l’Italia deve quindi puntare su soluzioni tecnologiche avanzate e un cambio culturale nelle pubbliche amministrazioni. Tecnologie come il Cloud Computing, Quantum Computing e la Blockchain sono cruciali. “Il deficit di competenze digitali – continua il manager – è un ostacolo notevole. È fondamentale investire in programmi di formazione specifici”.

Il ruolo della normativa

La normativa deve evolversi per accompagnare e consolidare le opportunità offerte dalla tecnologia. Recentemente è stato introdotto l’AI Act, la prima legge al mondo che tenta di regolamentare l’Intelligenza artificiale in maniera strutturale.

“Per accompagnare questo cambiamento, è necessaria una normativa che supporti l’innovazione, garantendo al contempo la privacy e la sicurezza dei dati” spiega ancora Aiosa.
Insomma, la trasformazione digitale nella Pubblica amministrazione italiana rappresenta una sfida europea e globale.
Con una visione chiara, investimenti mirati e un forte impegno nella formazione, l’Italia può sfruttare il potenziale dell’AI per innovare i servizi pubblici e migliorare la vita dei cittadini diventando un esempio da seguire.

Anche a Natale 2023 non si rinuncia a viaggiare

Nonostante le difficoltà economiche dovute a rincari e inflazione la voglia di vacanza non si ferma. Ma come saranno le vacanze natalizie e invernali degli italiani? Risponde l’ultimo aggiornamento di Future4Tourism, l’indagine Ipsos che dal 2017 analizza ed esplora i trend del turismo nazionale e internazionale. E quest’anno il 20% delle persone intervistate dichiara di avere intenzione di concedersi un periodo fuori casa durante le festività natalizie, in aumento di 2 punti percentuali rispetto allo scorso anno. E oltre la metà, il 64%, prevede di fare almeno un periodo di vacanza tra gennaio e marzo 2024. 

Capodanno è sempre al centro del viaggio 

Inoltre, se circa otto persone su dieci durante le festività rimarranno in Italia, e per il 47% degli intervistati il Capodanno è la festività che si decide di includere prevalentemente nel proprio periodo di viaggio.

In aumento, poi, la quota di coloro che, pur facendo vacanze via da casa, non includeranno alcuna festività. Nel 2023 sono il 31%, +7 punti percentuali in confronto allo scorso anno.

Il 64% farà almeno una vacanza tra gennaio e marzo 2024

Il 64% degli italiani e delle italiane prevede di fare almeno un periodo di vacanza tra gennaio e marzo 2024, riportando la percentuale dei vacanzieri ai livelli pre-pandemia: a novembre 2019 la quota di viaggiatori invernali era infatti pari al 63%.

Tra chi ha già deciso la destinazione, l’Italia perde consensi rispetto al passato più recente, pur rimanendo saldamente al primo posto nelle scelte di viaggio per il 62% dei vacanzieri (+6 punti percentuali rispetto all’inverno 2023).
Si ricomincia a viaggiare principalmente verso le mete europee (25%) e accresce l’interesse per le crociere (4%).

Città d’arte, mare o montagna sugli sci?

Relativamente alla tipologia di vacanza, i viaggiatori si suddividono quasi equamente tra coloro che preferiscono vacanze in città d’arte, al mare e in montagna, lago, o collina.
Inoltre, nonostante si registri una ripresa delle visite culturali, queste restano ancora lontane dal periodo pre-pandemico (45% delle scelte vs il 35% attuale) favorendo le destinazioni di mare e montagna.

Ma l’inverno per molti italiani e italiane significa trascorrere giornate sulla neve. Tra chi ha deciso di concedersi un periodo di vacanze sugli sci il 20% non modificherà le proprie abitudini rispetto agli scorsi anni, ma il restante 80% si vedrà costretto ad adottare strategie di contenimento della spesa. Come? Scegliendo località con prezzi degli impianti di risalita più contenuti (31%), riducendo le giornate di sci (27%) fino alla completa rinuncia, almeno per quest’anno (22%).

Challenge social, perchè è un fenomeno pericoloso per i ragazzi?

La Generazione Z, nata con uno smartphone in mano, è esposta a challenge social che possono rivelarsi anche molto pericolose. Sfide folli che arrivano da tutto il mondo, dato che la tecnologia non ha confini di connessioni. Tuttavia, ai giovani spesso mancano gli strumenti per gestire appieno questi mezzi così potenti. I ragazzi sono ancora in fase di sviluppo fisico e psicologico, il che li rende vulnerabili.
Tra le challenge più diffuse ra la Generazione Z, ci sono quelle legate al cibo.

La moda della Hot Chip Challenge

Una di queste sfide è la “Hot Chip Challenge,” consistente nel mangiare una patatina estremamente piccante senza bere o cercare di lenire il dolore. Questa gara folle ha provocato malori ed è accessibile anche ai minori, in quanto i prodotti vengono venduti online in confezioni a forma di bara. Uno studio condotto ha rivelato che circa il 6,1% degli studenti italiani tra gli 11 e i 17 anni ha partecipato almeno una volta a sfide sociali.
“Prove” legate al cibo sono particolarmente diffuse, spesso importate da altri paesi, grazie alla forte influenza della globalizzazione. Il cibo è un oggetto di sfida comune poiché è facilmente accessibile. Inizialmente, questi ragazzi potrebbero partecipare alle sfide per divertimento, sottovalutando i rischi associati.

Il pericolo dipendenza

Anche se le challenge in sé non costituiscono una dipendenza, sono pericolose e correlate all’uso distorto dei dispositivi mobili e dei social media. I giovani a rischio di dipendenza sono più inclini a partecipare a queste sfide. Tali comportamenti possono portare a problemi di ritiro sociale e dipendenza da social media o videogiochi.

Le sfide sono più comuni tra gli 11-13enni, mentre diventano meno frequenti nella fascia 14-17. I giovani sono influenzati dai loro coetanei, e questo può sfuggire al controllo dei genitori.
L’Italia mostra una maggiore prevalenza di problemi legati alle dipendenze e alle sfide sociali nelle regioni meridionali e insulari. È importante notare che i ragazzi di queste fasce d’età non sono completamente consapevoli dei rischi e che il cervello non è ancora completamente sviluppato.

Cosa può fare la famiglia

I genitori sono invitati a monitorare l’uso dei dispositivi mobili da parte dei propri figli e a limitare il tempo trascorso online, poiché la quantità di tempo è proporzionale al rischio. È essenziale instaurare una comunicazione aperta con i giovani per rilevare eventuali segnali di pericolo.
La prevenzione dell’uso distorto dei dispositivi digitali è cruciale, poiché il pericolo è reale, e l’educazione sull’uso responsabile dei dispositivi è fondamentale.

Autunno, stangata in arrivo?

Pare che gli italiani dovranno affrontare un’autunno caratterizzato da un incremento significativo delle spese, con un impatto previsto di circa 1.600 euro per ogni famiglia. L’allerta è stata lanciata da Assoutenti, associazione che monitora e protegge i diritti dei consumatori, alla luce dell’attuale aumento dell’inflazione e dei prezzi dei carburanti. L’associazione ha aggiornato le stime sulle spese che le famiglie dovranno affrontare da settembre fino alla fine dell’anno, prendendo in considerazione diversi fattori come bollette, cibo, spese scolastiche, mutui, carburante e ristorazione.

Gli alimentari? Costano il 10% in più

Attualmente, il costo complessivo dei prodotti alimentari è aumentato del 10,1% rispetto all’anno precedente. Questo trend, se dovesse persistere nei prossimi mesi, comporterebbe un aumento delle spese alimentari per una famiglia “media” di circa 190 euro durante il periodo settembre-dicembre rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

Costa anche la scuola

Con la riapertura delle scuole è atteso un aumento delle spese legate all’acquisto di materiale scolastico. I prodotti di cancelleria hanno registrato un aumento del 9% su base annua a causa dell’incremento dei costi delle materie prime e della produzione. Questo significa che una famiglia che deve acquistare tutto il materiale scolastico per il proprio figlio vedrà un aumento di circa 50 euro rispetto al 2022, senza contare gli aumenti dei costi dei libri di testo, che variano da 300 euro per la prima media a 600 euro per il liceo, compresi i dizionari. Questi aumenti variano dal 4% al 12%, con una spesa media aggiuntiva di circa 45 euro per i libri di testo, portando l’incremento totale per la voce “scuola” a circa 95 euro per studente.

Benzina e bollette alle stelle

Anche il costo del carburante è aumentato, con un litro di benzina che costa in media 1,947 euro, rispetto a 1,679 euro durante lo stesso periodo dell’anno scorso. Se i prezzi rimanessero ai livelli attuali, la spesa per il carburante, considerando due pieni al mese per famiglia, aumenterebbe di 107 euro nel quarto trimestre rispetto allo stesso periodo del 2022. Inoltre, le bollette energetiche sono destinate a salire, con previsioni che suggeriscono un aumento delle tariffe elettriche tra il 7% e il 10% nel prossimo trimestre. Questo comporterebbe un aumento della spesa energetica di circa 16,1 euro a famiglia solo nell’ultimo trimestre dell’anno.

E i mutui?

Per quanto riguarda i mutui, i tassi di interesse dovrebbero aumentare ulteriormente a settembre, ottobre e dicembre, il che comporterebbe un aumento significativo delle rate mensili dei mutui a tasso variabile. Questo significa che un mutuo medio di 125.000 euro a 25 anni costerebbe circa il 60% in più rispetto all’inizio del 2022, con un aumento mensile di circa 270 euro. Se i tassi venissero aumentati dello 0,25% in tutte e tre le riunioni della Banca Centrale Europea, le spese mensili dei mutui nel periodo settembre-dicembre sarebbero maggiori di circa 1.170 euro rispetto al 2022. Infine, anche i ristoranti e i bar subiranno aumenti di prezzi, con un costo aggiuntivo stimato di circa 28 euro a famiglia nei prossimi 4 mesi.

Il settore dei servizi traina l’indice di fiducia delle imprese

A luglio, l’indice di fiducia delle imprese ha registrato un aumento, passando da 108,2 a 109,1, recuperando in parte le perdite dei due mesi precedenti. Questa crescita dell’indicatore è stata determinata principalmente dai settori dei servizi e delle costruzioni. D’altra parte, l’indice di fiducia dei consumatori si è ridotto, pur mantenendosi al di sopra della media del periodo gennaio-giugno 2023, passando da 108,6 a 106,7. È quanto ha comunicato l’Istat, sottolineando “un deciso peggioramento delle opinioni sulla situazione economica generale (inclusi i pronostici sulla disoccupazione) e delle aspettative riguardo alla situazione economica personale”. Tutte le componenti che compongono l’indice di fiducia dei consumatori si sono deteriorate, ad eccezione dei giudizi sull’opportunità di risparmiare nella fase attuale.

I quattro indicatori valutati dalle aziende

I quattro indicatori calcolati mensilmente dalle stesse componenti riflettono le variazioni registrate dalle singole variabili: il clima economico e il clima futuro hanno registrato cali rispettivamente da 127,6 a 123,4 e da 118,4 a 115,0; mentre il clima personale e quello corrente sono diminuiti in modo meno marcato (da 102,2 a 101,1 e da 102,0 a 101,0).
Per quanto riguarda le imprese, tutti i settori analizzati hanno registrato un aumento dell’indice di fiducia, tranne quello manifatturiero. 

I giudizi più “ottimisti” per le costruzioni, i servizi e il commercio

Più in dettaglio, l’indice di fiducia è aumentato nei servizi di mercato (da 103,7 a 105,6), nel commercio al dettaglio (da 110,5 a 111,2) e soprattutto nelle costruzioni (da 162,5 a 166,5); mentre nel settore manifatturiero l’indice è in calo (da 100,2 a 99,3).
Per quanto riguarda le componenti degli indici di fiducia, nel settore manifatturiero i giudizi sugli ordini sono peggiorati, ma sono aumentate le aspettative riguardo al livello della produzione, mentre le scorte sono rimaste sostanzialmente stabili. Nei servizi di mercato e nel settore delle costruzioni, tutte le componenti indicano un’ottimistica prospettiva, mentre nel commercio al dettaglio, giudizi favorevoli sulle vendite si accompagnano a un aumento del saldo delle opinioni sulle scorte e a una diminuzione delle aspettative riguardo alle vendite.

Meno ostacoli alla produzione, ma anche meno domanda

Riguardo alle domande rivolte trimestralmente alle imprese manifatturiere, si stima una diminuzione del numero di imprese che segnalano ostacoli alla produzione per la terza rilevazione consecutiva (la relativa percentuale è passata dal 39,3% stimato ad aprile 2023 al 38,2% a luglio 2023); tra queste ultime, cresce la quota di imprese che evidenziano, tra gli ostacoli stessi, l’insufficienza della domanda.

Vacanze 2023: più brevi e vicine, ma in villa di pregio

Lo rivela la ricerca AstraRicerche per Emma Villas: quest’anno il 95% degli italiani non rinuncerà alle vacanze estive, anche se per 4 italiani su 10 saranno  più brevi del passato, verso destinazioni più vicine (30%) e all’interno dei confini nazionali (81%). Inoltre, 7 italiani su 10 si concederanno più di una vacanza nei prossimi 12 mesi, e oltre il 68% vorrebbe vivere l’esperienza di soggiornare in una dimora di pregio. Una passione confermata dall’Osservatorio Emma Villas, che per la stagione estiva segna +62% nel numero delle settimane prenotate in ville e casali di pregio rispetto al 2019, per un totale di 4.931 settimane prenotate tra giugno e settembre.
Insomma, inflazione e caro vita non demoralizzano gli italiani: oltre la metà dei vacanzieri è pronta a spendere fino a 1.500 euro a settimana. 

No a last minute e worktation


Il viaggiatore italiano sa cosa vuole e come ottenerlo, non punta più sul last minute (quasi 8 su 10 hanno già prenotato la vacanza) e non vuole rinunciare al tempo libero, soprattutto in ferie (il 74% spegnerà i dispositivi). Solo 2 italiani su 5 scelgono di alternare il lavoro alle vacanze, prediligendo la worktation.
Ma molto meglio star via meno giorni e in un luogo di pregio. Si spiega così il boom delle prenotazioni tra giugno e settembre per ville e casali di pregio. Per chi sceglierà questa soluzione, il mese preferito sarà luglio che vede già ora oltre 1.600 settimane prenotate, a fronte di quasi 5mila settimane prenotate per il solo periodo estivo.

La soluzione ideale è la Vacation rental

Una villa a uso esclusivo da condividere con amici o familiari potrebbe essere la soluzione ideale per la maggior parte degli italiani. Si tratta, infatti, di un’opzione di vacanza desiderata da quasi 7 italiani su 10, che nella scelta di questa tipologia di vacanza indicano tra i fattori essenziali una location appartata e indipendente, ma vicina a luoghi di interesse culturale (36%), con debole pressione turistica (32%), a uso esclusivo (31%) e in una località iconica (27%). Un sogno per cui 1 italiano su 2 è addirittura disposto a rinunciare ad andare a cena fuori durante l’anno, acquistare prodotti pregiati (29%) o nuovi vestiti (27%) pur di potersela permettere.

Vincono mare, cultura, enogastronomia

Per gli italiani la vacanza è ancora sinonimo di mare (50%), cultura (37,4%), enogastronomia (31,3%) e relax (36,0%). Inoltre, gli italiani amano viaggiare con gli amici, un must per 1 italiano su 4, con percentuali che aumentano tra gli abitanti del sud (34%) e i più giovani (39%). In generale, l’Italia sarà la meta preferita per oltre l’80% degli italiani, mentre il 15% punta alle destinazioni oltre frontiera. In ogni caso, sul podio regnano incontrastate Salento (30%), Costiera Amalfitana (29%) e sud della Sardegna (27%). E se sono i lombardi i turisti più vacanzieri (oltre 28%), si prevede la presenza massiccia di statunitensi (18%), seguiti da inglesi e tedeschi.

Aumentano i prezzi per le vacanze, e il 37% degli italiani non partirà

Per il 72% degli italiani l’attuale aumento dei prezzi spingerà a fare meno vacanze rispetto a qualche anno fa, mentre per il 28% questo non avverrà.  A causa del boom dei prezzi le vacanze brevi fino a quattro giorni allettano il 43% degli italiani, mentre le vacanze lunghe sono scelte dal 20%, e il 37% non partirà. Emerge dal Tableau de bord – L’indice di fiducia dei consumatori, realizzato per Udicon, l’Unione per la difesa dei consumatori, dall’Istituto Piepoli. L’indagine è stata realizzata il 22 e il 23 maggio su un campione rappresentativo della popolazione italiana. L’aumento dei prezzi rispetto al passato è stato riscontrato anche nelle ricerche tra le diverse strutture ‘a caccia’ delle meritate vacanze dal 78% degli intervistati dalla ricerca.

I criteri della scelta di una vacanza

Ma quali sono i fattori considerati fondamentali quando si deve prenotare una vacanza? Soprattutto qualità dei servizi offerti (49%) e prezzo conveniente (34%).
Il fattore del turismo sostenibile nella scelta della struttura dove soggiornare è importante per il 75% di quanti prenotano un viaggio, mentre non lo è per un altro 18%. Il 66% consulta le recensioni per scegliere la struttura in cui trascorrere le vacanze, ma per il 67% le aspettative restano deluse. E in generale, il 44% sceglie la vacanza da solo, attraverso il passaparola di parenti e amici, tramite portali internet (40%) o attraverso agenzie di viaggio e tour operator (23%).

Prospettive non positive anche per la disoccupazione

La ricerca, oltre alle vacanze, ha messo in luce anche le prospettive degli italiani per i prossimi mesi.
Il 37% degli italiani è poco o per nulla fiducioso nel futuro. Tanto che il 66% pensa di riuscire a risparmiare poco o per nulla, mentre solo il 30% pensa di riuscire a mettere da parte molto o abbastanza denaro. Prospettive non positive anche sul lavoro: secondo il 41% il numero di persone disoccupate in Italia nei prossimi 6 mesi aumenterà, bruscamente o leggermente.
Secondo l’indagine, che registra un calo di 6 punti percentuali dei ‘pessimisti’ rispetto alla precedente rilevazione, gli ottimisti, per i quali la disoccupazione diminuirà, leggermente o bruscamente, si attestano al 18% (+2% rispetto alla precedente rilevazione).

Promuovere trasparenza, affidabilità e qualità dei servizi turistici

Inoltre, secondo il 43% degli italiani la situazione economica generale del Paese peggiorerà nei prossimi 6 mesi, mentre per il restante 18% la situazione migliorerà. E per il 30%, riporta Adnkronos, a peggiorare sarà anche la condizione economica della propria famiglia.
“In questa fase economica difficile, è fondamentale prestare attenzione alle esigenze dei consumatori e promuovere la trasparenza, l’affidabilità e la qualità dei servizi turistici, con particolare riferimento alla sostenibilità ambientale – commenta Martina Donini, presidente di Udicon -. Le strutture ricettive che abbracceranno politiche sostenibili avranno sicuramente maggiori possibilità di guadagnare la fiducia dei consumatori. Invitiamo gli utenti a valutare criticamente le informazioni disponibili, comprese le recensioni online”.