Diritto all’oblio sul web, il 22% delle richieste a Google arriva dai politici

Il Diritto all’oblio prevede che il gestore di un motore di ricerca sia responsabile del trattamento dei dati personali degli utenti, ed è obbligato a rimuovere i link a determinate pagine web dalla lista dei dati personali. “Diritto che si applica qualora l’informazione sia inesatta, inadeguata, non pertinente o eccessiva”, spiega Andrea Baggio, Ceo di ReputationUP, specializzata nella online reputation management, e l’eliminazione di contenuti diffamanti online.

La richiesta di rimozione viene perciò analizzata dai responsabili del motore di ricerca e vengono ponderati sia gli interessi dell’utente sia l’interesse pubblico ad accedere alle informazioni. E il 22% delle richieste di rimozione url pervenute a Google sulla base del Diritto all’oblio arriva da politici e funzionari statali.

La classifica di chi chiede di “ripulire” la propria reputazione online

Il dato, elaborato dal Centro Studi di ReputationUP, mette in evidenza quanto riportato nel Google Transparency Report dal giugno 2014 al febbraio 2020. E secondo la classifica di chi richiede di “ripulire” la propria reputazione online al primo posto risultano i minorenni, con il 42.0% delle richieste, al secondo politici/funzionari statali (22.2%), al terzo entità aziendali (18.8%), seguite da personaggi pubblici estranei alla politica (14.2%), e altri soggetti (2.8%).

Una sentenza storica per il settore della reputazione online

Degna di nota, nel settore della reputazione online, è la sentenza della Corte di Giustizia Europea emanata il 13 maggio 2014, incentrata sugli articoli 7 e 8 della Carta dei diritti.  Il dispositivo parla per la prima volta di interesse pubblico quale discriminante del diritto di cronaca quando si tratta di informazioni “non adeguate, irrilevanti o non più rilevanti”.

Questo ha permesso a qualunque cittadino dell’Unione Europea di poter dar vita a un’azione giudiziaria per la rimozione di tutti i contenuti digitali compromettenti e non rilevanti all’interesse pubblico.

Perché il diritto a essere dimenticati non sta funzionando

Un diritto, quello di essere dimenticati, che però non sta funzionando come dovrebbe. A oggi, secondo dati aggiornati al mese di febbraio 2020, Google ha ricevuto circa 3.5 milioni di richieste, e a causa di questo, i tempi di risposta da parte del gigante americano possono essere molto lunghi e arrivare fino a due anni. Chi può permettersi di aspettare questi tempi lunghi per far valere il proprio diritto all’oblio? “Nessuno tra politici, manager e imprenditori può permettersi di aspettare così tanto per vedere la propria immagine online ripristinata – continua Andrea Baggio -. Per questo c’è bisogno dell’aiuto di professionisti, capaci di gestire la propria reputazione in tempi veloci, e nel migliore dei modi possibili”.